ANTOLOGIA CRITICA

 

su II pudore e l’effondersi:

... sono poesie, e sono per di più belle per quell’accento mosso, aderente, di verità vissuta — provata — nel raccoglimento; belle anche perché quella verità è giovane e si presenta come tale (rivelazione), con le movenze precise e nello stesso tempo incantate di quello stato, senza alzare la voce, senza profittare della sua autorità.
Mario Luzi
da una lettera, 1963

Questo cantare sereno, senza pudore del mondo, un verso dopo l’altro, un amore di Dio a vent’anni, questo cantare senza stridii, senza toni di originalità, così come fosse ancora oggi gesto consueto di molti rivolgersi in preghiera sul libro, sulla pagina bianca, desta una sorpresa attenzione.
Gaspare Barbiellini Amidei
«Il giornale d’Italia», 14-15 gennaio 1967

Ci sono, in queste pagine, certo, le poesie religiose più belle del dopoguerra. Ma non solo. C’è la sincera — e pure, per una sapienza di scrittura, pudica — confessione delle proprie pene, vissute o intuite come ipotetiche proprie della vita. Tutto questo fa del volumetto un diario quasi segreto, che merita rispetto.
Renzo Ricchi
«Avanti», 30 marzo 1967

Il lavoro della Bettarini, fra l’altro, ci appare molto scaltrito, frutto di un’attenzione anche per studi che in Italia non hanno mai avuto molta fortuna, come quelli psicologici e psicanalitici, come dimostra il suo insistere su concetti ed immagini chiaramente archetipiche, come l’acqua (...); ora questo insistere sulla immagine dell’acqua va unito a tutta una rete di paragoni tutti di natura liquida che la Bettarini stabilisce (...) che trovano la loro ragion d’essere in un paragone che è quasi dichiarazione d’ideologia, intessuto com’è di fede nell’uomo: «Perché la sorgente / in un fiume è perenne e un uomo /non è mai un ruscello...»; ed ecco che l’immagine dell’acqua, ancora tutta naturale in un certo senso, diventa del tutto umana, è l’uomo che come l’acqua non secca, non può rinunciare ad essere.
Luciano Caruso
«Gazzettino del Jonio», 21 giugno 1969

 

 

su La rivoluzione copernicana:

Mariella Bettarini rappresenta l’antitesi dei poeti mercenari, che hanno l’occhio al concorso, al premio della cultura, avanzi di gruppi retrivi e imbalsamati. La Bettarini è la moderna poetessa che con la sua interiorità storicizza il tempo nostro nelle sue aberrazioni disumane.

Ai poeti imbalsamati, muti, sordi (...) preferiamo chi vive e sente come questa autentica personalità che non ha nulla di «professionale» e glorioso o trionfale.
Antonio Piromalli
«II Gazzettino del Jonio», 3 aprile 1971

La Bettarini, che porta con sé una più ampia e complessa esperienza operativa, ha il suo no coscienziale (...) che riscatta i vecchi schemi teologici e metafisici delle sue prime produzioni poetiche e tende ad aggredire la materia storia, responsabilizzando dunque la radice semantica religiosa e compromettendola, in ogni caso, nelle scelte avversative (a tutto ciò che può apparire, per dirla con una espressione della poetessa, «nebbia e violenza»). (...) il ludismo tragico della Bettarini (a cui si vorrebbe augurare un più profondo impegno nel «tragico» che nel ludens} resta un valido evento di coerenza strutturale e, comunque, si presenta come ottima pietra di paragone della nostra crisi in atto (e certo della volontà di chiarirla a livello di autocoscienza sempre più impegnata e disinibita).
Giuseppe Zagarrio
«Il Ponte», Firenze, 1970

Al di là della genericità della formula che vuole la Bettarini «poeta civile», diremo che la lezione dell’Isolotto qui è tutta trasfigurata e dà luce a certi versi sonanti e secchi, proprî di chi l’indignazione muove non moralisticamente e terroristicamente, ma per una ragione di sopravvivenza, per una sete di giustizia e una onestà intellettuale rarissima di questi tempi. Così questo La rivoluzione copernicana mi sembra fra i prodotti poetici della nuova generazione letteraria un punto fermo ed essenziale per quelli che vorranno fare la storia della poesia italiana dopo il massacro dell’Avanguardia.
Dario Bellezza
«Paese sera», 31 dicembre 1971

 

 

su Terra di tutti e altre poesie:

Io non so se sia poesia o oratoria o oratorio e in verità non me ne importa nulla: ma il poemetto Terra di tutti, riletto ora, arriva, fa il suo dovere, ha passi che fanno trasalire, ha verità e ritmo. (...) Sta il fatto che, dovessi far leggere a uno straniero o a un postero un testo per far capire che cosa stava nell’animo di un giovane nell’anno Settanta, quei suoi testi sarebbero fra i primi, un vero risultato oggettivo. Non so né come né quando ma non mi dimenticherò di questo suo scritto.
Franco Fortini
da una lettera, 8 maggio 1972

... un coraggio che la stessa Bettarini va dimostrando con scritti impegnati a questo livello, apparsi su riviste qualificate, e che pongono la poetessa fiorentina tra i giovani più coscienti d’una revisione necessaria dei tabù morali e sociali.
Giancarlo Pandini
«La provincia», 23 agosto 1972

Mariella Bettarini, fiorentina, confenna nel suo Terra di tutti le doti già dimostrate. Al solido impianto versicolare (di « maggioranza»; sulla linea Montale-Luzi) aggiunge però una distesa prospettiva colloquiale che, lungi dal far precipitare il discorso nel mero « parlato », lo collega con livelli socio-descrittivi molteplici, anche mediante l’ausilio di qualche slogan o frase fatta.
Sergio Salvi
«Il Bimestre», n. 9-10, luglio-ottobre 1972

Il nome di Mariella Bettarini è tra quelli dei giovani poeti che con maggior coerenza e fermezza perseguono — non solo con la propria opera ma con un’attività recensoria rispondente a una scelta precisa verso i testi da leggere e di cui render conto — una loro idea e un loro sentimento, una concezione in una parola della poesia e della letteratura quali vorrebbero fosse, e rimproverano che non sia, nel nostro tempo.

(...) la Bettarini ha fortemente il senso di ciò che sia la tensione della poesia, il valore che in essa parola ed immagine assumono per tradurre discorso e sentimento e risentimento in espressione e, appunto, in immagine. Ed è proprio questo catalizzante lavoro che ella conduce sul suo rovello umano ad esprimerlo e a farne letteratura, senza togliergli nulla della sua verità esistenziale ma alla letteratura e alla poesia conferendo il va-lore di un messaggio così umanamente impegnato, a costituire la nota più personale e convincente della Bettarini.
Lanfranco Orsini
«II ragguaglio librario», n. 7-8, luglio-agosto 1973

 

 

 

su In bocca alla balena:

La geniale convulsione di Mariella Bettarini è invece, sia purenell’«entrain» anche lei del gioco verbale, prodiga di graffi, di pelle a brandelli; è una di quelle collutazioni spasmodiche e arruffate in cui l’agonista colpisce più che altro se stesso. Proprio in questo vortice di piume strappate e spruzzi di sangue sta la suggestione del suo ultimo libro, In bocca alla balena: un’altra prova del suo talento.
Mario Luzi
«II Giornale», 20 novembre 1977

su Dal vero:

Poesia corposa quella di Mariella Bettarim, poesia che anche nel titolo (Dal vero) riecheggia un mondo della realtà che significa sempre, per la scrittrice toscana, «protesta», polemica contro un sistema sbagliato, e non solo contro i suoi simboli (...).

Il libro lo si legge proprio perché non così smaccatamente legato alle cose e al loro segno, ma proprio perché queste vengono dimenticate nella poesia, nella complessità di riferimenti, nel giro di parole funzionale ma anche abbandonato all’inconscio.
Gilberto Finzi
«Giorni», n. 4, 26 gennaio 1977

Mariella Bettarini nel raccogliere le poesie del periodo 1972-’74 si conferma come una delle voci più coraggiose e più originali nel campo delle iniziative culturali e della produzione poetica dell’ultimo decennio. (...) La Bettarini adotta un suo verso lungo che può facilmente anche sconfinare nella prosa dichiarata e che le serve per una poesia franta nelle movenze intcriori ma infine distesa in una sorta di brani di racconto in cui c’è dentro tutto il dramma del vivere contemporaneo.
Giuliano Manacorda
«Rapporti », n. 12-13, marzo-giugno 1977

 

 

su Diario fiorentino:

Anche Mariella Bettarini in Diario fiorentino (1979) sembra aver moderato le sue impennate, lasciando che alle certezze apodittiche subentri il dubbio e un più vigile controllo autocritico. Siamo dunque di fronte a un fenomeno di riflusso che tocca anche la poesia, persino quella più giovane? Forse c’è, piuttosto, una presa di coscienza che il fare poesia non coincide sempre con il poetico del momento.
Sergio Pautasso
Anni di letteratura (Rizzoli, Milano, 1979)

A chi ha voluto vedere nel Diario una poesia di riflusso, di ritorno a casa, ripiegamento sul e nel privato, basterebbe questo: è la poesia che spacca la parola, che lascia che tra l’uno e l’altro scendano a rapina dieci anni — e quali anni —. Il Diario va a cercare motivi ragioni significanze senza specchi deformati distorsioni rassicuranti ideologie viziate e assolutorie. (...) La Bettarini ha il coraggio di questo viaggio nel suo tempo — che non è più soltanto misura sua privata e incomunicabile — per tracciare un bilancio aperto e provvisorio: non i giudizi della saggia maturità ma i segni di una avventura tutta vissuta. Tutta da vivere anche sapendo che il giudizio definitivo poco conta e, comunque, non ci riguarda.
Elia Malagò
«Quinta generazione», n. 1-2, 1979

(...) Sensi accesi a intermittenze, di una distruttività tutta indotta e calcolata, algido gioco di luci psicologiche decantato nello spazio fondo e muto della letterarietà, in concettuali e poi viscerali, incontenibili «buchi neri» violati da crescenti chiarori espressionistici che formano le figure impressive di un testo eufonico ripartito in trentasei lasse interagenti con analogie essenziali e accorate, dolorose e disarmanti per coraggio esistenziale, appena percorse da una vena ironica che s’inturgidisce nell’epilogo (...) nella doverosa presa di distanza dall’oggetto o pretesto del libro: un/il padre, simbolo valetudinario di una solo apparentemente occasionale passione espressiva che tutto cenrifuga nel suo fervore, restituendo, a chi legge, emozioni proporzionali alla «sofferenza» di chi ha scritto (sofferenza dell’esperienza e sofferenza dovuta alla «riduzione», o anche «estensione», dell’esperienza nel verso).
Stefano Lanuzza
«Galleria», n. 1-2, 1979

 

 

su Ossessi oggetti/spiritate materie:

Che relazione stabilire tra l’imparzialità — beninteso apparente — dell’obbiettivo fotografico e l’ambiente, gli oggetti di posa che costituiscono l’immediato entroterra o, se vogliamo, la storia di un pittore?

Le risposte — non sembri un alibi — sarebbero molteplici se le fotografie di Gabriella Maleti prevedessero una lettura «di proposito». In realtà si è trattato di cogliere — in piena autonomia di mezzi — i lineamenti di una matrice visiva, alla quale e in quanto tale, non è attribuito nessun significato complementare alla pittura (...).

A questo lavoro, un poeta, Martella Bettarini, ha aggiunto del suo senza farsi tentare — malgrado l’evidenza dei riferimenti — da una ambiziosa sovrapposizione didascalica, che in qualche modo fornisse delle prove del resto impossibili a dare. Il poeta rivive a suo modo, nella scia di una suggestione quasi medianica, il susseguirsi eccitante, talvolta concitato, delle immagini che gli vengono proposte. Fotografie-pittura-poesia. Questo l’ordine che daremo alle cose avvertendo che a nessun titolo si tratta di una graduatoria. Un ordine che può essere agevolmente capovolto e intercambiato (...). Niente di aggiuntivo, dunque, né di supple­mentare, ma tre diverse esperienze che si muovono a canocchiale una dentro l’altra per sfatare, semmai ce ne fosse bisogno, la presunta immutabilità del vero al quale tutto o nulla può interamente corrispondere.
Roberto Coppini
nella nota introduttiva del libro

Ossessi oggetti/spiritate materie è un esile quaderno di poesie nate dalla suggestione dell’ambiente di un pittore riproposto attraverso una viva documentazione fotografica. Ne deriva un esercizio sottilissimo nel quale la parola tende a farsi immagine altra, ma combinatoria, rispetto all’ori­gi­nale e si possono osservare così esiti complessi, anche complicati ed in qualche modo beffardi per la coscienza di una sfida vinta non solo nella forma ma nella chimica del poièin. Poesie da «leggere» come gouaches, a mio avviso, come un momento tecnico, voglio dire, dell’articolato laboratorio bettariniano.
Franco Manescalchi
«Città & Regione», n. 1, febbraio 1982

 

 

su II viaggio/il corpo:

La raccolta della Bettarini fecalizza due diverse dimensioni del «viaggio». La prima, tutta interna al testo, è rappresentata da una musicalità che si esprime attraverso una rete di allitterazioni,, rime interne e anafore (...).

Alla dimensione sonora si contrappone, invece, quella che Ezra Pound definiva « fanopea », cioè poetica dell’immagine. Le associazioni verbali si legano fra loro per immagini quando terminano le associazioni sonore del testo. (...)

Tra la voragine dell’associazione di immagini e la vertigine delle iterazioni, tra «discorso» e «canto» questa raccolta dimostra come il viaggio si rappresenti in poesia come viaggio non del corpo, ma nel corpo del linguaggio, poesia non come rappresentazione consolatoria del reale, ma attenta riflessione sulle motivazioni ideologiche ed esistenziali del «fare poetico».
Ubaldo Giacomucci
«Tracce», n. 1, settembre 1982

 

 

su Poesie vegetali:

Mariella Bettarini, specificamente con queste Poesie vegetali ispirate (o «imitate»?) ad altrettante foto di Gabriella Maleti, si colloca fra i poeti (verbali) che intendono far proprie le immagini (visive), mira all’uso della «parola visiva». (...) Tutto ciò può servire, non a «spiegare», ma almeno a collocare in un contesto adeguato anche il rapporto che stiamo cercando di «mettere a fuoco», quello generale fra fotografia e poesia, e quello specifico tra le foto della Maleti e le poesie della Bettarini, che si accostano, secondo una dichiarazione di quest’ultima, «non tanto in senso susseguente e meccanicistico (come quello di un abbinamento «a posteriori» tra poesie nate in maniera autonoma, cui si accostino foto nate in tutt’altro contesto, e magari per tutt’altro uso), bensì in senso generativo da parte della parola nei riguardi dell’immagine — per ‘ispirazione‘ seconda e magari non meno valida della prima (arte: in questo caso foto, ossia in qualche modo ‘natura seconda’, piuttosto che natura prima... ‘) —. Lungi quindi dall’affiorare una concreta opposizione «concorrenziale» fra segno iconico e segno verbale, si delinea allora piuttosto una similarità di struttura, quella che Lotman e la scuola dei semiologi sovietivi definiscono nei termini di «isomorfismo strutturale », e che può conferire un significato nuovo al tradizionale problema della comparazione di arti figurative e arti verbali.
Lamberto Pignotti
nella introduzione al libro

(...) niente più dell’allure depistante della poesia visiva è lontano da questa raccolta di dieci non semplicistiche didascalie in versi dedicate dall’autrice ad altrettanto fotografie di G. Maleti, fotografa di professione e poetessa in proprio. In competizione con lo spettacolo fotografico, la Bettarini ricorre alla traslazione dell’immagine, alla parole ad effetto iconico-descrittivo o non piuttosto a un’occupazione degli spazi dell’immagine per una reinvenzione di essa? In questo secondo e più attendibile caso, si può parlare di non-integrazione fra parola e immagine (...). Occasioni che, perseguite con la parola, echeggiano un impressionismo che da un interno esistenzialistico si proietta verso l’esterno universalistico.
Stefano Lanuzza
«Il Ponte», n. 11-12, novembre-dicembre 1983

 

 

Su vari libri:

C’è effettivamente nella Bettarini, fin da quando comincia a comunicare in versi, la disposizione alla concitazione oracolare e allo scavalcamento del politico sul privato. Questa disposizione si sente sempre, diluita o accentrata; come a volersi impigliare, contemporaneamente estendendone le trame, in rigorose metafore di avvertimento o ricognizione sociali. Definirei questa disposizione come il proposito di parlare alto a tutti (a tutti, non per tutti); parlare alto o, meglio ancora, comunicazione alta (sentimentalmente molto commossa).

(...) Alla concitazione oracolare, che produce non lemmi autoritari per « una vita esemplare » ma indicazioni che rimandano a quel bisogno o a quella richiesta di progressione conoscitiva e sentimentale di cui ho fatto cenno; a questa concentrata concitazione si allinea come altro e concomitante momento del discorso il referto esistenziale — che è solo trascritto, dato come indicazione e mai gridato come una perorazione.

(...) Il leccio è interessante da indagare; e non credo si possa considerare semplicemente l’opera di un’esordiente intelligente; lo leggo come il registro su cui sono trascritti i dati di un discorso personale (non privato) che si va precisando con uno sforzo autentico; che si fa persuasivo mentre tende a ramazzare con la scopa ideologica i problemi «vitali» piuttosto che a selezionarli per comporsi in un ordine possibile e rappresentarli a fini egoisticamente esistenziali.

Ma dieci anni dopo, nel ‘77, nella raccolta intitolata In bocca alla balena, la Bettarini propone un discorso più sconnesso (nel senso di una faticosa lacerazione, dell’orditura anch’essa volutamente frantumata e di inquietudine molto esasperata) non avendo più i riferimenti su cui ancorare la ricerca (archetipa) di verità. L’area di questa ricerca essendosi complicata di riferimenti sovrapposti e di tensioni non previste e conturbanti.

(...) È tutto un buttare uncini per arpionare i fragili e scontornati elementi di una realtà che si è già consumata (non che si sta consumando, concedendo qualche punto di riferimento). Ne consegue che in questi editi nel ‘77 (ma composti in precedenza), presi come campionatura di confronto per qualche definizione, si privilegia un parlato argomentante e descrittivo, a tutto tondo, di situazioni ideologiche; e il sociale come rap-presentativo dei sentimenti — o, meglio, come rappresentato dai sentimenti, resi infidi e inquieti dalla situazione emergente. In due parole: dalla prima alla seconda opera indicata si passa da una tensione positiva, che si alimentava dei problemi del tempo, all’inquietudine riflessa, a volte opaca a volte terribile, di un momento storico che propone solo contraccolpi, i quali sfuggono e non si lasciano definire.
Roberto Roversi
Introduzione al «Trittico per Pasolini»
Almanacco dello Specchio, n. 8 (Mondadori, Milano, 1979)

Situazione e tono da poesia-documento, poesia ‘arrabbiata’ angloamericana. Si va dagli eccessi di sconforto-disperazione personale (una voglia di «buttarsi via» e insieme di essere nelle cose) alla denuncia sarcastica nel linguaggio dell’intervento incazzato e della protesta. Nel linguaggio, cioè, da studente-operaio sempre un po’ sull’orlo della «devianza» (il fantasma, dietro le spalle, dell’ospedale psichiatrico)... A volte si ha l’impressione di una specie di ritomo del primo Ungaretti e Jahier (o un Ginsberg o un Leroi Jones).
Franco Cordelli
II pubblico della poesia (Lerici, Cosenza, 1975)

Più vicina alla Weil che a Marcuse e più che a un’ipotesi di poesia rinnovabile solo entro schemi semiologico-linguistici, a un’idea di poesia fecondata da una cultura alternativa, di classe, la Bettarini lavora tutte le occasioni, i pretesti, le provocazioni della cronaca-tragedia in una sorta di confessione disinibita, di flusso ininterrotto, caotico, della coscienza dove la esteticità, il decoro, il diritto della forma cedono il passo a una ragion pratica d’ordine globale: provocare, per disincantare, per trasformare, possibilmente in meglio, l’uomo.
Alberto Frattini
AA.VV., Inchiesta sulla poesia (Bastogi, Foggia, 1978)

Esemplare (...) è la posizione di Mariella Bettarini. Le sue radici sono in una tradizione di neorealismo fiorentino (per esempio «Quartiere»), che si combina con un più generale espressionismo toscano (per esempio Marcello Landi) e con un fondo di volontarismo cattolico. Fin dall’inizio (II leccio) interessa il suo aggrapparsi al fantasma di un centro, che non potendo essere sociale sarà psicologico (...) La sua asprezza è pazienza, fedeltà alla propria imbarazzante natura. Anche nelle cose più recenti (Diario fiorentino) ritorna l’immagine di un corpo vivo, inopportuno (...). In un libro di più complessa struttura come Dal vero, questa esigenza psicologica (l’esigenza del centro è consapevolmente legata al trauma del difficile rapporto col padre) si fa descrizione di un paesaggio degradato.
Walter Siti
II neorealismo nella poesia italiana (Einaudi, Torino, 1980)

La riflessione riafferma una spontaneità di fondo, e una saggezza s’accampa in essa aforistica e acre. Metamorfosi dell’empiria, e spostamento dosato e alternative di una nobile caratterizzazione esistenziale, è l’immagine prodotta - nella sua poesia - da Mariella Bettarini. Il suo è sempre un diario sospeso e sen­tenziale, indestituibile; delinea il guasto, ritesse la metafora, minaccia la presenza, collega il privato e im­pri­me ad esso vibrazioni (referenti) di intensa ondosa ritmicità. Il «tu» condensa il procedimento di sfida e di amore, aggira le castrazioni individuali e collettive, l’eversione clinica del proprio inconscio alla prassi obliqua e sediziosa. Tutto ciò non privo di intime e abravise ascese e strategie morali, mai barocche nella tattilità delle sue dense mise en question, e fantasmi tutt’altro che impuri o sottraibili (Diario fiorentino. La nostra gioventù, ossessi oggetti/spiritate materie).
Domenico Cara
«Fermenti», n. 3, marzo 1983

Soprattutto l’operazione di Mariella Bettarini (...) presenta al suo attivo di questo decennio un consuntivo di poesia tutta esposta e per ciò stesso tutta impegnata in un linguaggio di inter/azione tra la propria vicenda esistenziale e la vicenda del mondo, di quell’altro da noi che è poi il politico, il sociale, il pubblico, insomma tutto l’eteronomico di cui la poesia, quando è tale, si nutre per diventarne alla fine autonoma: è quello che può succedere alla poesia della Bettarini dove l’effusivo, se suscita una prima impressione di sovrab­bondanza, in effetti risulta la trasposizione in verbis della propria vocazione a esporsi e dunque a «narrarsi» in strutture diaristiche, di un diarismo implacabilmente puntuale, per ciò impietosamente e coraggiosamente speculare della propria non mai esauribile ricerca verità. In questo senso nella poesia della Bettarini si attua, con evidenza particolarmente decisa, l’incontro di quei tre elementi che la poetica tridimensionale di «Salvo imprevisti» si propone fin dal ‘75: il marxismo (...), la psicanalisi (...) e la linguistica, che è chiamata - a livello sintattico e semantico - a provocare una dinamica di strutture speculari del parlato, del meno divaricato possibile tra il dettato della parola e la spinta diretta del sentito. Dunque, in un risultato che rappresenta certamente un interessante punto di riferimento, anzi un punto di obbligo nel panorama della più giovane sperimentazione poetica toscana.
Giuseppe Zagarrio
Febbre, furore e fiele (Mursia, Milano, 1983)

 

 

su Amorosa Persona:

(…) Se la scrittura si è configurata da sempre per la Bettarini come “scrittura per un discorso”, questo testo. Amorosa persona, è il suo testo, più pieno ed implicante, più rutilante ed esatto, più doloroso e nel contempo più attestato al suo nietzschiano destino autonomistico, incontrollabile e palpitante, di parte viva di un corpo emancipatasi e diventata essa stessa vita, messaggio vivo in giro per il mondo. L’opera, alla fine, appare in sé compiutamente risolta (...) È un testo come Amorosa persona che ha deciso per sé di stabilirsi come “romanzo-non-romanzo”, di delegare la propria forza rappresentativa e persuasiva a preliminari scardinamenti e negazioni, di farsi strada – lui ibrido narrativo e poetico, fuori schema e ribellistico - persino nella ricreazione interna, intrasistematica, di generi sperimentati e combinabili: dalla lettera al diario, dalla favolistica al ricorso lirico esibito, dalla pagina di memoria alla pagina d’arte, e così via, secondo una gamma di capacità multiple incredibilmente accordate e indirizzate a un unico scopo. (…)
Marco Marchi
Il dio dei suoni
(Quaderni di Gazebo, Firenze, 1998)

 

 

su Delle Nuvole:

(…) Questa breve ma splendida plaquette ha la levità e la lucidità di un trattatello classico: la scienza della poesia, dice l’autrice nella nota introduttiva,“scopre metafore”, “non inventa metafisiche”. Poiché la “matrice del pensiero poetante” è la “sete di conoscenza”, della gioiosa e dolorosa scoperta delle realtà dell’anima, la vera poesia ha l’umiltà del pensiero propria della “terrena scienza”, ancor oggi troppo spesso deprecata o ignorata da sedicenti poeti. (...) Delle nuvole fonda una sorta di felice ‘scienza aerea’ (ariosa) che, intrecciando nelle metafore poesia e meteorologia, si esplica in addensamenti testuali ricalcanti il “cosmo nuvoloso” in base alla forma, allo spessore e al “fattore altitudine”, dai cupi nembo-strati fino ai “levissimi cirri”. Il vaneggiare e il contemplare estatico, la corsa inarrestabile e il mistero insondabile generano inseguimenti, spostamenti grafici dei versi (...): fino all’orgasmo della rima baciata. (...). Frotte di diminutivi e diminutivi o aggettivi da frottola popolare: le strofe brevi (...) rimandano infatti allo stile fresco e baldanzoso delle frottole, ironico e profondo.
Rosaria Lo Russo
da “Semicerchio” (n. 2, 1991)

 

 

su Asimmetria:

(…) Senso acuto di responsabilità e di verità verso se stessi, quindi verso gli altri: è questo l’aspetto di vita e di poetica (inattuale in epoca di nichilismi) influenzato dalla lezione della Weil che Mariella Bettarini ha più assimilato. Su una tale “attenzione” si è naturalmente innestata, potremmo dire, la corrispondenza intellettuale, ma anche appassionata, con le battaglie culturali e politiche del femminismo. (…) Asimmetria è la necessaria “sproporzione” di una vita e di una poesia in cui resta qualcosa d’irri­ducibile, di asimmetrico appunto. Quell’umorale che, alla stessa maniera della passione per la conoscenza, preme affinché l’autrice torni continuamente a se stessa, ai propri intimi nodi emotivi. Stanno in quanto abbiamo detto finora il nucleo tematico originario della poesia di Mariella Bettarini, l’energia graffiante, il ritmo balzante dei suoi versi migliori, o quella ten-sione oracolare, di cui parlava Roberto Roversi nell’In­troduzione al Trittico per Pasolini (in Almanacco dello Specchio, n. 8,1979).
Daniela Marcheschi
da “Galleria” (n. 2. maggio-agosto 1994)

 

 

su Zia Vera - infanzia:

Sessantotto straordinarie poesie, una per ogni anno della vita della zia (...), fino alla bellissima 30 ottobre 1989: quasi un diario, dei foglietti di annales, o meglio delle perle di un rosario da sgranare con un crescente pathos (attesa? suspence? patimento?) per vedere quel volto sulla copertina che da “testarda bambina podalica / pedalando nei meandri visceri” crescit eundo, così come, in costante controcanto, crescono o forse sfioriscono l’Italia e il Mondo, la Storia e le storie (...). E’ un piacere grandissimo leggere questo libro, questo fiore del gazebo, fabbricato da chi ha avuto la fortuna di non diventare mai un monumento (…). Ci sono poeti che a sfrondarli dai contesti, dalle correnti, dai gruppi, dai cartellini delle antologie ci guadagnano in termini di valore (gift), di significanze e anche di verità storica.
Massimiliano Chiamenti
da “Semicerchio” (XVI, 1996)

 

 

su Diciotto acrostici:

Mariella Bettarini (...) ci regala i suoi versi di grande dolcezza, scritti per bambini amati e seguiti nei loro primi passi. Bambini che questi acrostici rendono al lettore in tutta la loro vitalità, nelle piccole ombre, nei lievi dolori dei loro corti anni. Il tono è pacato, come proveniente da un’altra età - quella, forse, della poetessa, che osserva da lontano, con un sorriso sereno ma venato di malinconia, i vezzi dei suoi alunni, un particolare del loro volto, i modi di parlare talvolta già da adulti (“triturando liberatarie parole / ottieni tutto il meglio dal mondo (e poi da te)”. E a tratti si affaccia evidente il rimpianto per il ventaglio di occasioni che la fanciullezza comporta, e che l’ingresso nel mondo degli adulti naturalmente riduce: “(...) un / Sontuoso segno di parola e di tranquille realtà / Aperte tutte - spalancate al fiore del / No - del Sì - del Forse - vive di possibilità / Durevoli – che a mille a mille / Raggiano intorno a te espandendosi / Ovunque come forti faville”.
Idolina Landolfì
da “Il giornale” (31 ottobre 1993)

 

 

su Per mano d’un Guillotin qualunque:

Credo che anche per la poesia si possa parlare di professionalità, specialmente riguardo a un’autrice la cui imponente produzione si allarga a narrativa e saggistica, più una traduzione di S. Weil. Il lessico qui è un campo aperto su un tema - la testa - che ne dimostra l’assunto: “ nervi infiammabili / rari errori (ora) per perseguire puntare inquisire (quasi) (IX). L’elencazione diventa materia nuova: “o acqua o fulminazioni o scorrimento o azione” (16). Seguire lo sviluppo di tale poetica è un godimento per l’intelletto.
Luciano Nanni
“Punto di vista” (n. 20/1999)

 

 

su La scelta – la sorte:

Uno stile sempre perfettamente riconoscibile, eppure ogni volta leggermente variato, spostato impercettibilmente verso luoghi sempre nuovi (anche se all’apparenza simili), quello di Mariella Bettarini. Una parola forte, che riesce a combinare alla perfezione ritmo incalzante, senso d’attesa, vezzo aulico ed espressione secca. Un’idea di poesia “di resistenza” in senso esistenziale, con il verso che si apre contro la voracità del nulla e ne riconosce la durezza, l’ineluttabilità (“Gioco duro che si lavora il fegato”), ma anche tensione verso ciò che di ludico si può riconoscere all’esistenza nel suo farsi esperienza prima, storia poi.
Fabio Simonelli
“Poesia” (n. 158, febbraio 2002)

Poeta straordinario, uno dei pochi sui quali dovrà interrogarsi la posterità per quanto riguarda la seconda metà del secolo trascorso e l’inizio del millennio che viene segnato da La scelta-la sorte (Gazebo, 2001), Mariella Bettarini è conosciuta anche per la tesa onestà intellettuale, maturata attraverso ribellioni; lo schiaffo del femminismo che la svegliò da ogni torpore; la presa di coscienza politica, inerente alla letteratura (del tutto diversa dai compromessi degli apparati di potere); la delusione politica ormai che esplora la carità evangelica nel senso di una missione tra i poeti soprattutto giovani e “smarriti’.

Lei è ora pervenuta con La scelta-la sorte all’opera della sua piena maturità, soccorsa da un coraggio indomabile e dalla sapienza che l’età consente ma tale da consacrare i sorsi purissimi della poesia con riverberi d’infanzia. .

Mariella Bettarini ha ora tutte le età della Creatura quindi è Poesia fuori da ogni dubbio. Così con il suo lavoro toccherà fare i conti, se vogliamo lasciare un’eredità durevole che proietti nel futuro non solo la poesia ma la parte meno effimera del crogiuolo intellettuale in cui fermentò lo sperimentalismo che in lei si brucia nella luce di un’intuizione anche lirica, accelerata dall’ispirazione come raggio vettore. (…)
Maria Grazia Lenisa
“Punto d’incontro” (n. 12, gennaio, 2002)

 

 

su La testa invasa:

(…) In assenza di una trama riconoscibile secondo i canoni del romanzo naturalistico, La testa invasa sviluppa un intreccio effettuale di avvolgenti orrori e amare bellezze: la meta risiede nel raggiungimento di un discorso refrattario all’economia di scambio, nell’accanirsi a trovare parole turbative dell’unica cornice del pensiero pensabile, vale a dire l’omologo consumismo (“e che tipo di dominio si può avere di un’erba o di un’in­salata, di una conchiglia, di un pezzo di mare?”, “La natura è della natura e basta”, pag. 20).

Si registra una prepotente generosità ideologica e carnale, a riscrivere il mondo, come se l’esperienza stesse franando e occorresse trascrivere ogni minimo dettaglio prima della sua corruzione definitiva e della sua scomparsa. (…).

Voci, emozioni, liste, concetti rimescolano con cura la quidditas letteraria per ritrovare l’impronta dell’umano. Tutta la fatica travasata nei 28 capitoli del libro forse non serve a uscire dal labirinto, né a restituire dignità alle cose, può tornare utile a comprendere i colpi sempre più a vuoto di questa società usa e getta.
Donato Di Stasi
da “Fermenti” (n. 226 – 2004)

 

 

su Il libro degli avverbi (Piccole storie per bambini):

Un libro che non si impone con la violenza dei colori chiassosi che generalmente l’editoria dedica all’infanzia né si piega al gusto imperante, contaminato e inflazionato dai mass media. Mariella Bettarini offre ai bambini, e non solo a loro, pagine di vita vera, con l’inevitabile carico di dolori e solitudini insieme alle gioie e alle amenità, ma sempre lo fa con l’occhio dell’in­na­morata nei confronti di questa strana avventura che perfino nella sua più minuscola forma non finisce mai di stupirla. Di storia in storia la lettura corre veloce; dalla prima “Allegramente” fino all’ultima “Totalmente”, tra giochi linguistici, acrostici, spunti ironici o malinconici, ogni racconto invita il bambino alla riflessione, al ripensamento della realtà, con l’apparente semplicità che nasce da un uso raffinatissimo della parola.
Annalisa Macchia
da “Erba d’Arno” (n. 100, primavera 2005)

 

 

Su A parole – in immagini (1963 – 2007):

L’antologia poetica di Mariella Bettarini è un grande affresco che non possiamo chiamare romanzo, solo perché nel frattempo il genere è degenerato a dimensione dell’attuale editoria. Invece il “gazebo personale” di Mariella contiene una storia vera, una vicenda che si intreccia con interlocutori reali, figure di poeti incontrati, luoghi concreti o sognati, grazie ricevute, biografie avventurose di uomini e animali, meditanti aperture, chiusure angosciose. La poesia aspira ad avere una sua agitazione, con un giardino frondoso intorno a un ipotetico ninfeo. La foto di una vita in poesia diventa l’istantanea di un fotografo identificato come l’animatore di un luogo immobile… (“catturato da una casa egli la catturava in una materia intelligente, assorbente” – p. 534). La poesia di Bettarini è psicografica, disobbediente, transumante, riparatoria. Sollecitata da una Firenze allotria (in questa firenzaccia…), dal “fior d’impatiens”, dal maggio, dal viaggio, da una forza disarmata, da mille enigmi, dai “morti che non se ne vanno”. “O forse qualcuno di notte/ prende le porte/ della luna/ mette via/ le dolenti mappe…” (p . 229). Al colmo di tutto, dice, “la coscienza… della asimmetria” (p. 246). Chiaramente una vita non basta, nessuna vita basta a se stessa. La poesia serve almeno da farmaco, ergo da premessa di salute e malattia: “dove l’anima della rivolta trova anche il suo veleno” (Mario Luzi).

Carlo Alberto Sitta
“Steve” (n. 34, estate 2008)

 

Cara Mariella, questa tua antologia, che va dal 1963 al 2007, tenendo conto delle tue impegnate, appunto, esperienze sociali, e didattiche, delle tue personali utopie misticamente oranti talvolta, o battagliere eppur tormentate (per esempio l’Isolotto, le riviste militanti, frequentate o fondate, Salvo Imprevisti, L’Area di Broca…) potrebbe far pensare ad una sequela di testimonianze storiche (gli stessi primi decenni ne sarebbero prova), preziosissime per conoscere, capire, giudicare oltre la tua intimità nientemeno che un periodo storico, il Secondo Novecento, di rara pregnanza, per le conquiste e, perché no, se vogliamo anche per gli errori.
Ma chi si addentri nel labirinto stupefacente della tua poesia, subito si accorge che la pretestualità storica, pur tuttavia per te importante, finisce quasi sempre naturalmente eppure trionfalmente nella storia del testo. Basta leggere con attenzione il titolo , che non è un titolo qualsiasi: A parole – in immagini. La potenza della materia parola che si dà per creativamente poetica quando si riveli in immagine. L’immagine come forma della parola poetica. La parola di un discorso qualsiasi, o di una qualsiasi presunta poesia, non va per immagini, bensì solamente per funzionali metafore. Mentre la poesia che non risponda a fini demagogici – com’è sempre la tua poesia - è, così com’è, perché diversamente non può essere nella sua specifica immaginifica forma. Ecco allora – e non si tratta ovviamente di sottovalutare la pregnanza della tua vitalità prammatica – che la poesia esprime tutta la sua splendida e alta inutilità, di fronte all’utilitarismo (anche sentimentale e sovente menzognero) della prassi. E delle prammatiche utopie (…).
Una evenienza va poi ricordata: l’importanza che assume il sodalizio creativo con Gabriella Maleti, poeta e fotografa di grandi capacità, anch’essa in qualche modo riconducibile a una particolare école de regard: molti anni fa progettai un mio testo di grafica scritturale che intitolai Dal particolare al particolare, proprio per contrappormi a talune ideologie, per parecchio condivise, che pretendevano percorrersi dal particolare all’assoluto. Gabriella Maleti sa cogliere le cose, i segni, le tracce nel loro profondo, primigenio, minimalismo. Si dovrebbe parlare di lei, così presente in questo volume, e in particolare del suo film-video Il fotografo, che ha ispirato diverse tue poesie del capitolo dallo stesso titolo. E si dovranno riprendere alla giusta occasione certe considerazioni critiche sul rapporto fra le arti: scrittura e immagine fotografica soprattutto. Altro argomento che richiama il titolo dell’intera antologia: A parole – in immagini.

Gio Ferri
“La Clessidra” (n. 2, novembre 2008)

 

A ripercorrere l’intero itinerario in versi di Mariella Bettarini si ha una sensazione di stordimento, sia per la vastità dell’opera che per la sua complessità, tanto che una nota come questa risulta ardua (non per nulla sulla produzione della Bettarini sono state realizzate più tesi di laurea), anche perché sulla poesia dell’Autrice si sono espressi, in tempi diversi, intellettuali, critici e poeti di gran valore e notorietà, da Luzi a Fortini, da Roversi a Ramat, da Cucchi a Manacorda. Già Luzi ne mise in evidenza “il tenero e ispido furore” e Silvana Folliero le “visioni un alto valore semantico, durevolmente attraversato da ritmi interiori”. (…) Credo che la Bettarini sia stata uno dei pochissimi scrittori di poesia a portare avanti pervicacemente il rapporto poesia/altro (soprattutto la fotografia), poesia/mondo, poesia/occasioni e a darne conto lucidamente: sì, credo che la critica della Bettarini sull’epifania della propria scrittura, sul sorgere improvviso nella coscienza della “necessità” di intraprendere – di dar vita ad una silloge specifica – sia anch’essa poesia: vedi “Nursia”, “La disertata” e la splendida raccolta “Zia Vera” dove l’Autrice costruisce una struttura di 68 testi – quanti gli anni della vita di zia Vera – sospesa fra il dato biografico e quello storico. (…) Concludo questa breve nota accennando alla sapienza del discorso poetico di Mariella Bettarini: il gioco degli spazi, l’uso costante dei trattini, l’ostracismo alla virgola, le rime quasi invo
lontarie, l’iterazione (“passare per la testa”, ad esempio), l’utilizzo di lessemi da lingue straniere o di voci dialettali sono soltanto alcuni degli “strumenti” letterari della nostra autrice, che percorre da così tanti anni un suo originale, personalissimo sentiero poetico che mostra come – nella poesia autentica – mente e passione, etica e biografia si tengano mirabilmente, sino a dar vita a qualcosa di tenero, di lieve, di miracoloso.

Daniele Giancane
“La Vallisa” (n. 81, dicembre 2008)

 

Chi avrà la pazienza di leggere questo libro si renderà conto di avere la possibilità di ripercorrere momenti cruciali della poesia italiana che Mariella Bettarini ha attraversato da protagonista, dall’interno, con una sua fisionomia ben nitida e una posizione alla quale non ha voluto mai derogare. E se ne comprende la ragione: ha sempre sentito di trovarsi nel giusto, di avere preso la strada che porta ad esprimersi in pienezza senza tradire la sua ansia di rinnovamento, la sua convinzione che la poesia va scovata nei segreti delle parole che si presentano in grumi oscuri e che noi dobbiamo aprire alla luce.
A volte è sembrato che sia stata scalfita dalle avanguardie che hanno imperato negli anni sessanta e negli anni settanta, ma in realtà ella ha seguito il flusso di una ricerca che io trovo davvero fuori dal comune: andare incontro alla tonalità del senso imposto, spezzarlo, frantumarlo e secernerne la voluttà degli abbagli, i soli che possano dare la possibilità di entrare nel mistero.

Dante Maffia
“Nuova Marginalia” (n. 5, dicembre 2008)

 

2 febbraio 2009

E’ con gioia che vi invito ad una serata per me molto speciale: la presentazione del libro, con mia lettura-performance, che Mariella ha pubblicato antologizzando la sua opera poetica dal 1963 al 2007, un’opera straordinaria, viva e forte, coraggiosa e commovente. Mariella è la mia Maestra, una madre putativa, una Sublime Zia. Da lei mi son sentita filiata fin dai sedici anni, quando ebbi l’ardire di portarle i miei primi scarabocchi in versi e lei fu, come è sempre stata, accogliente e gentile e illuminante.
Finalmente posso recitare i suoi versi in pubblico in un luogo degno della sua voce, il Teatro Studio di Scandicci.

Rosaria Lo Russo

 

Teatro Studio di Scandicci
Mercoledì 11 febbrario 2009 – ore 18

Amorosa persona
Omaggio alla carriera di Mariella Bettarini

Introduce Lorenzo Bertolani

Interventi critici di Cecilia Bello Minciacchi e Stefano Giovannuzzi

Letture di Rosaria Lo Russo

Sarà presente l’autrice

 

                                                              *   *   *

 

Sono qui pubblicati alcuni dei testi che più amo tratti da A parole – in immagini, antologia delle poesie di Mariella Bettarini dal 1963 al 2007, un volume corposo per un’opera poetica e intellettuale imponente, in cui l’esplorazione delle complessità del sé si fa posizione po/etica integrale riversandosi in una fedeltà al mondo come dato profondo.
La cifra della poesia di Bettarini è, io credo, un fare politico verticale che arriva fino alle radici della persona e da lì sorgivamente emerge ed esonda come parola responsabile (creatrice) del reale. È una sonda sensibilissima che porta alla luce sensi e sensualità. E ci libera, oh se ci libera, dal terrore dell’insignificante. C’è qui una serietà dello stupore, o – se preferite – uno sfavillio dell’intelligenza che tanto più spesso vorremmo veder intaccare la scorza patinata della contemporanea cosa pubblica. Immaginifica e bruciante, estatica e incisiva, mai vuota, mai consolatoria, governata da una musica delle figure, questa raccolta, che ha molto da dire sulla storia della sensibilità poetica negli ultimi quaranta anni, testimonia la sempre rinnovata ricerca – linguistica e intima – della poeta fiorentina, pur nell’adesione ad un dettato intellettuale rigoroso.

Renata Morresi
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com (8 febbraio 2009)

 

Del monumentale corpus antologico concernente l’opera in versi di Mariella Bettarini, autrice che non ha bisogno di soverchie presentazioni e ritenuta con giusta ragione fra le maggiori della contemporaneità, viene qui riportato un compendio cui si è scelta la divisione in due parti. (…)
Si è qui preferito dare un taglio piuttosto cronologico nel presentare la complessità di un lavoro che si articola nell’arco di un quarantennio espresso in ben ventisette raccolte edite in volume e il suo alto profilo già si palesa dagli esordi.
Non quindi una esplorazione con residui analitici pur se a latere, essendo viva e vitale un’ampia letteratura critica al riguardo, ma un viaggio nella cronologia di un’opera che comunque non si dà tempo (non fosse per le datazioni spesso opposte per mano della stessa autrice). Tali sono la cifra e il magistero di una poetica la cui datità si annuncia in un percorso vettoriale che oltrepassa i limiti della storiografia stessa e dei conseguenti ed eventuali – quanto sterili – tentativi di storicizzazione.

Mirko Servetti
http://viadellebelledonne.wordpress.com (21 febbraio 2009)

 

L’autoantologia che Mariella Bettarini ha allestito dopo oltre quarant’anni di ricerca poetica è quello che si direbbe un “grande libro”, una sorta di “summa”: e non solo di poesia ma – sia pure indirettamente – anche di storia, filosofia, psicologia, politica, sociologia, botanica, meteorologia, archeologia, fotografia, ecc. Uno di quei libri, insomma, che a prima vista incutono un po’ di sgomento. Come si farà a leggerlo? Si potrà leggere tutto? Quando ci si impiegherà? Una bella sfida, non c’è che dire. In questi casi, tuttavia, tutto risolve il lasciare che un’iniziale curiosità faccia il suo libero, automatico corso. (…)
A partire dal punto generatore di un’inesausta passione conoscitiva, non c’è quasi opera di questo libro che non restituisca, attraverso la lente prismatica della poesia, qualcosa che rinvia al diverso dalla poesia, all’altro, alla realtà, alla storia, e che ci parla, a parole e in immagini, di scienze, di arti, di tecniche, ecc, in connubi e commistioni di straordinario interesse.

Luigi Mandoliti
“Capoverso” (n. 17, gennaio-giugno 2009)

 

Il gioco delle assonanze, per una straordinaria capacità di percepire e far scaturire gli uni dagli altri i suoni della lingua – abilità che appare innata in molti poeti toscani e presente in Mariella Bettarini fin dall’inizio – diventa costante gioco prezioso, e suscita associazioni di idee che, alla provocazione sonora, zampillano dall’inconscio. Giungere a privilegiare parole-immagine apparenta da questo punto in poi Mariella Bettarini alla poesia che va sotto l’ampia attribuzione di sperimentale. Scelta di campo consapevole, voluta? La sentirei piuttosto come uno slittamento, una conquista naturale. L’incontro con Gabriella Maleti, scrittrice, poeta, ma anche fotografa, non porta con sé solo la stretta connessione tra il dire e fissare per immagini, ma anche una nuova tecnica del poetare con gioco di echi e rimandi. Una stessa parola dall’una arriva all’altra, e torna quindi arricchita di senso e rinnovata. Modo di vivere-scrivere in cui la società ha ancora la sua parte dove s’inseriscono altre figure, non secondarie. (…) Tutta la poesia che Mariella Bettarini ha pubblicato ha questo ritmo spezzato, immagini come scagliate, anche quando (anche se) l’amore ne è il presupposto.
Perché se di sperimentalismo bisogna parlare per questa poesia, tenterei una definizione – veramente non so se altri l’abbia già trovata – di “sperimentalismo etico”, una ricerca dove l’affezione e le umane relazioni sono sempre all’origine e interne al progetto del dire.

Piera Mattei
L’immaginazione critica (Zona Editrice, Firenze, 2009)

 

Più di 40 anni di poesia, l’impegno di una vita in questo ponderoso volume antologico che raccoglie in 855 dense pagine una scelta significativa e puntuale dell’intera produzione bettariniana, profusa in oltre trenta libri di poesia, a parte la narrativa e la saggistica, spesso esauriti e di non facile reperimento, per chi volesse avvicinarsi all’opera della poetessa fiorentina.
Avvicinamento che negli ultimi tempi è avvenuto più di frequente, soprattutto da parte di giovani studiose ma non solo (due sono le tesi di Laurea di cui si riportano alcuni brani significativi) a dimostrare l’assunto che esiste già un canone di autorevolezza letteraria femminile cui le giovani generazioni di donne fanno riferimento, e in questo canone la poesia di Mariella Bettarini si colloca con voce autorevole, voce testimoniale e unica, intima e civile a un tempo, ironica e riflessiva, sentimentale e dissacrante. (…)
Diario fiorentino (1978) apre la stagione dei sodalizi con artisti come Gianni Cacciarini e l’incontro, decisivo di una vita, con fotografi come l’amica poeta e sodale Gabriella Maleti. Questa è la stagione che più risponde al vero titolo dell’antologia, A parole – in immagini, proprio perché, in questa fase del suo percorso poetico, Bettarini dà voce alla centralità dell’occhio, dello sguardo, trasmigrante sotto le spoglie dell’obiettivo fotografico o della telecamera di Gabriella, o delle esperienze di teatro, assieme ad altri amici fiorentini, un cenacolo, quasi, di esperienze comuni, di comuni passioni. (…)
L’antologia raccoglie, infine, una delle prove più deliziose di questa poesia in eterno dialogo con l’altrove, che siano animali o amici, emozioni o concetti: il Trialogo, dialogo a tre con Maleti e Giovanni Stefano Savino, sensibile e appartato poeta fiorentino, libro in cui la poesia non gemina solamente, ma triplica la forza del dialogare profondo, si fa strumento di conoscenza di sé, che prende forza dalle parole dell’altro, e dà a noi l’indicazione metodologica di un fare che non sia in solitudine, ma aperto al confronto, alla condivisione, all’incontro.

Loredana Magazzeni
“Leggere Donna” (n. 143, novembre - dicembre 2009)

 

Poetessa stimata e apprezzata per la sua onestà poetica ed intellettuale, per il suo fervore e la sua capacità critica sempre attenta ai giovani e a promuovere la buona poesia. Una scrittrice di grande valore, un’amica, una compagna di viaggio per chi non voglia perdersi nei meandri del solipsismo ostentato, dell’aggettivazione, del lirismo, della scrittura scadente. Una donna che ha saputo e sa condurre una parva aces di amichevoli scrittori verso la poesia. (…)
Il lavoro poetico della Bettarini si sviluppa su molti anni di vita, di vicende, di dolori personali e sociali, attraversa per intero gli anni del fermento ideologico del Sessantotto, fino ai giorni odierni con le loro contraddizioni. (…)
La Bettarini ha scritto moltissimo e sempre con destrezza di parola, sempre decisa e al contempo ponendo nel lettore il dubbio. Nei versi scorrono domande, interrogativi, mai esclamativi – che semmai detesta – o affermazioni assolute, senza possibilità di dubbio. Ella procede, in molti suoi testi, per domande, talvolta suggerendo possibili risposte. Il suo è un fare quasi scientifico.

Roberto Maggiani
http://www.larecherche.it/Recensioni (dicembre 2009)

 

Leggere la poesia di Mariella Bettarini nel suo svolgersi cronologico, senza pause, è come appropriarsi della storia più intima di lei, storia di un pensiero che è mutato nell’urto con la realtà, interrogandola, interrogandosi, nella ricerca dell’equilibrio, ma senza che quello faticosamente trovato ogni volta si tramutasse in quiete o peggio in quiescenza, divenendo anzi indicazione per un nuovo procedere. (…)
Il linguaggio non dimentica mai la sua tenerezza, l’affettività, la cromaticità del reale, procede visionario e concreto insieme: filosofia, storia, scienza vi si intrecciano lasciando impronte lessicali, catalogazioni, classificazioni, pagliuzze varie dell’infinito svolgersi ed esserci della vita, abbracciata con amore, dolore, interrogazione; sgridata, condivisa nell’amicizia, nella passione, nel dolore. (…) Il periodare corre, insegue le parole che sembrano avere un’energia infantile, mobili, vivaci, zampillanti, imprevedibili: l’una chiama l’altra in un ludus-lusus che però è serio, serissimo come lo è per tutti i bambini quando, giocando, interpretano il mondo ed escono ed e\ntrano da se stessi ed afferrano significati celati. (…)
Dobbiamo noi tutti un grazie a questa figura di donna e poeta, perché proprio il suo non volere essere maestra di nessuno la fa maestra di molti.

Franca Alaimo
http://www.larecherche.it/Recensioni (gennaio 2010)

 

Su A Parole - in immagini:

"Un'opera tanto imponente, anzi monumentale, come questa di Mariella Bettarini, stupisce ed affascina al punto da bloccare quasi sul nascere - per via della sua grandiosità e complessità - ogni tentativo iniziale, che potrebbe rivelarsi o apparire parziale e velleitario, di commentarne ed analizzarne i caratteri."

Francesco De Napoli
Una straordinaria antologia poetica (PDF)

 

Su A Parole - in immagini:

"Impossibile per me parlare, in una pagina, di quasi mezzo secolo di scrittura, cercherò tuttavia di balbettare qualcosa che indirizzi l'appassionato lettore ad un personale e più proficuo approfondimento circa il lavoro dell'autrice in questione. La Bettarini ha scritto moltissimo e sempre bene, sempre con destrezza di parola, sempre decisa e al contempo ponendo nel lettore il dubbio, nei versi scorrono domande, interrogativi, mai esclamativi – che semmai detesta – o affermazioni assolute, senza possibilità di dubbio, questi non si confanno alla sua poesia."

Roberto Maggiani
Recensione (PDF)